Fare puzzle mi rende felice. Come fosse un interruttore, mi permette di entrare immediatamente in uno stato di flusso, di immergermi in quello che sto facendo, centrata, con la mente libera di vagare.

Tutto comincia con un mucchio di pezzi anonimi, e nessuna idea su come e da dove cominciare. Faccio ipotesi e prove, sbaglio, definisco strategie e le cambio o le adatto, se necessario. Imparo facendo, e pian piano i pezzi cominciano ad acquisire un significato e un loro posto nell’immagine che prende forma. Portare ordine nel caos ha un effetto rilassante. Anche gli inevitabili momenti di frustrazione e di difficoltà diventano inviti a provare qualcosa di diverso, cambiando posizione ed esplorando prospettive differenti.

Una volta completati, non incornicio mai i miei puzzle. Dopo che l’ultimo pezzo ha trovato il suo posto, tengo il puzzle intatto per qualche ora e poi lo disfo completamene.

“E allora? Qual è il senso?”, chiedono in molti. La gioia è nel fare. Nell’avere dei momenti di qualità con me stessa, totalmente presente e al tempo stesso libera di seguire i pensieri, oppure di lasciare che fluiscano, senza attaccamento.

Fare un puzzle è un hobby, ma per me anche una metafora potente. Mi aiuta a ricordare che obiettivi, sogni e piani hanno il solo scopo di rendere più intensa e piena la nostra vita. Sono al suo servizio, non viceversa.

Nelle parole del filosofo Alan Watts “…Pensiamo alla vita come a un viaggio, un pellegrinaggio che ha nella meta il suo scopo (…). Ma in realtà ci è sfuggito il vero senso della cosa: si trattava di una melodia, e tutto quello che avremmo dovuto fare era cantare o ballare finché c’era musica.

Ascolta il pezzo originale You play the piano.